Genitore e figlio

Preadolescenza: il ruolo degli adulti

I dati clinici sui preadolescenti e le loro famiglie riflettono una generale difficoltà da parte degli adulti nel trovare il proprio ruolo in questa fase. Di fronte ai primi cambiamenti e al sorgere delle prime contrapposizioni, infatti, si tende a considerare il figlio già grande e dare risposte che si muovono nel segno di una precocizzazione, ma che tuttavia non risultano adatte per gestire le ansie di un preadolescente.

Come abbiamo visto un ragazzino di 10/11 anni non possiede ancora parole e pensieri per spiegare e rappresentarsi la sua difficoltà. È necessario quindi sintonizzarsi con il suo livello di funzionamento, non possiamo infatti pensare di avere già a che fare con un adolescente e pretendere che egli possa mettere in parola esattamente quello che lo fa sentire a disagio.

Inoltre, nonostante la presenza di atteggiamenti oppositivi, provocatori e apparentemente emancipati, egli non funziona come un adolescente, anzi, continua a nutrire molta fiducia nel nucleo famigliare di origine. Il preadolescente continua ad avere un forte bisogno della presenza adulta, nonostante egli tenderà a negarlo esplicitamente. La presenza concreta dell’adulto risulta fondamentale e la sua mancanza verrà anzi vissuta come disinteresse e assenza di sicurezza; l’adulto deve esserci, continuare a dare fede ai valori in cui crede e indicare la via per la crescita.

Al contrario, i preadolescenti di oggi si ritrovano spesso da soli, vengono considerati all’improvviso grandi e gli viene richiesto, ad esempio, di autogestirsi pomeriggi interi dopo la scuola, in cui in possesso delle chiavi di casa, dopo avere scaldato il pranzo nel microonde trascorrono le ore in compagnia soltanto di supporti tecnologici, in nome appunto di una ormai raggiunta autonomia.

È necessario che il mondo adulto, il quale ha in carico la crescita e l’educazione dei propri figli, metta in conto risposte diverse e soluzioni alternative alla solitudine. Risposte che, laddove le forze individuali famigliari sono insufficienti, passino attraverso, ad esempio, la collaborazione con altre famiglie, o l’individuazione di luoghi adeguati dove i ragazzi si incontrino supervisionati da un adulto. È doveroso tenere in conto che catapultare un giovane preadolescente verso un’autonomia, fino al giorno prima sconosciuta, non può essere una soluzione adeguata; si tratta di stimolare con elasticità il processo di separazione-individuazione cui la pubertà dà inizio, senza però lasciare il figlio in balia di se stesso.

È un compito difficile, ma non impossibile, riconoscere il particolare modo di essere del preadolescente, evitando da un lato di trattarlo ancora come un bambino, ma dall’altro non spingerlo precocemente verso un’adultizzazione, cui non è magari pronto. 

In alcune occasioni risulterà ancora necessario decidere per il preadolescente, considerando però che è necessario iniziare a decidere insieme a lui; in altre situazioni invece si potrà lasciare maggiore libertà di sperimentarsi in autonomia, come ad esempio nei tempi e nei metodi di studio, perimetro adeguato in cui promuovere lo sviluppo di responsabilità.

Di fronte a comportamenti disfunzionali risulta necessario fare un passo nuovo rispetto all’infanzia; è necessario comprendere che la comparsa di risposte sgarbate, rifiuti, silenzi incomprensibili rappresentano in realtà un modo impacciato per reagire alla sensazione di venire ancora considerati come dei bambini. Gli adulti, in quanto educatori, hanno il dovere di correggere la direzione di tali risposte se comportano una mancanza di rispetto, ma allo stesso tempo non bisogna amplificarle, o considerarle una mancanza di affetto. Risulta importantissimo favorire il movimento elastico e mantenere le braccia aperte, in cui il giovane possa trovare rifugio ogni qual volta la nostalgia dell’infanzia fa capolino, e sostenere la spinta in avanti verso la crescita.

Sintonizzandosi con il preadolescente, si può aiutarlo a riconoscere dove sta il dolore, nel corpo o nei comportamenti disfunzionali che sta mettendo in atto, cercando di tradurre quei sintomi nel loro significato simbolico, cioè in cosa il giovane si è bloccato, quale compito non riesce più a portare a termine e perché.

Il preadolescente deve poter incontrare adulti che non respingano e che allo stesso tempo non trattengono, che possano contenere e promuovere nel ragazzo sentimenti di sicurezza, desiderio e motivazione verso la crescita.

Bibliografia

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